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L’era dell’Astrattismo è finita…

Nasce nel 2010 il Metaformismo, nuova teoria visiva che pone l’accento sulle forme di un quadro, di una scultura, di una installazione e sollecita il pubblico a leggerle e trovarne il senso.

L’opportunità che mi offre questa rassegna presso la Casa Museo Bruschi di Arezzo, di mettere bene in chiaro la natura della mia posizione nel mondo dell’arte, è veramente imperdibile. Focalizzare la mia formazione e, con questa, dare motivazione concreta alla nuova lettura storico-critica del Metaformismo è operazione assolutamente necessaria, e tale preziosa occasione mi si presenta con la storia della location in cui si celebra la trentesima edizione dell’evento itinerante “L’Arte Contemporanea nelle antiche dimore”, quarta del Metaformismo, proposto al pubblico per la prima volta nel 2010.

Nel saggio che precede la sequenza delle opere degli artisti partecipanti, tutti viventi, parlo del rapporto tra Ivan Bruschi e Roberto Longhi e di quest’ultimo descrivo brevemente i criteri operativi che lo hanno reso famoso nel mondo. Mi sono sempre qualificata come storico dell’arte di scuola longhiana, con ciò intendendo l’acquisizione dei fondamenti metodologici del maestro attraverso la di lui discendenza nella persona di Ferdinando Bologna, che mi ha seguito sino alla fine in tutto il quadriennio universitario di Lettere Moderne e Filosofia all’Università Federico II di Napoli. E infatti lo spirito di ricerca che ha spinto i personaggi citati sulla strada impervia della ricognizione storico-artistica, mi è stato trasmesso in toto, ma
io ne ho fatto un uso del tutto diverso, forse più appropriato alla progressiva trasformazione degli scenari artistici sino all’epoca attuale dominata dalla tecnologia e dai processi di globalizzazione.

Per nulla estranea allo spirito di connoisseurship, di cui accenno nel saggio, condizione basilare del mio operato critico che mi rende capace di individuare aree o contesti a cui riferire un manufatto artistico dei più svariati campi espressivi (dall’arte all’artigianato, proprio come Longhi e lo stesso Bologna), ho pensato di trasferire queste impagabili acquisizioni e conoscenze all’eterogeneo mondo contemporaneo, perfettamente consapevole che il mio mentore se ne sarebbe molto amareggiato.

Quando infatti mi trovai all’Aquila nel 1999, in occasione della settima edizione di questo ciclo itinerante, e gli chiesi se potevo salutarlo raggiungendolo nella sua casa di campagna nei dintorni del capoluogo abruzzese, mi rispose che mi avrebbe vista volentieri, ma quando seppe che mi occupavo di arte contemporanea non riuscì a nascondere moti di disappunto.

La scrivente proviene da un mondo che non ha mai smesso di disprezzare l’espressione dei tempi moderni, riferita ovviamente all’arte non-figurativa, giudicata illegittima rispetto a quel classicismo luminoso, pieno e appariscente che per secoli ha inebriato il mondo intero.
C’è sempre, infatti, una storia pronta ad accogliere i cultori della figurazione, purché abili e valenti, ed è proprio da questo disprezzo che ho deciso di muovermi in direzione di una rilettura di quelle che da molti sono ancora considerate forme spurie e corrotte dell’arte.

È anche vero che questo estendersi del mio campo operativo e delle relative nuove applicazioni metodologiche si deve in buona parte anche al collaudo critico-sperimentale compiuto nel corso di Critica d’Arte Contemporanea di Maurizio Calvesi alla Sapienza di Roma. D’altra parte Ferdinando Bologna negli anni Ottanta era alle prese con le espressioni artistiche conseguenti agli effetti socio-culturali della rivoluzione industriale, dimostrando così che il raggio dei suoi interessi si stava allungando di molto rispetto all’epoca in cui riscopriva i castelli trentini e di essi riusciva a individuare scuole e modelli della pittura delle origini, non solo, ma dimostrava anche la capacità di entrare in contatto con gli stili delle arti applicate del Novecento, lontane anni luce dal concetto di Classicismo.

In altre parole, sono passata attraverso varie matrici formative che mi hanno consentito di andare oltre la condizione dell’esperto in senso stretto, come lo era Longhi, per toccare approdi che certi ambienti rifiuteranno, ma che fanno giocoforza parte del nostro tempo, dove l’idea che tutti i popoli civili possano stringersi non solo in un unico sistema economico-produttivo, ma auspicabilmente anche culturale e artistico si fa sempre più forte.

Ricordando che il Classicismo è un fenomeno prettamente italiano, inesauribile fonte di ispirazione per tutte le altre culture del pianeta, nella prospettiva di un mondo globalizzato, va anche riconosciuto che esso è fatalmente esposto alla perdita della sua schematicità. Perdere tratti essenziali della propria identità è un rischio che tutti corriamo e correremo sempre di più, andando verso modi di essere e di esprimerci unificanti e comunque universalmente comprensibili.

Cosa, meglio dell’Astrattismo, può offrire un vocabolario così ricco di codici universali? E come vi si è arrivati? È sufficiente analizzare i processi di disgregazione della forma, iniziati già con l’Impressionimo, che sostituì al disegno il colore e la luce, per comprendere come il Classicismo stesso abbia generato l’arte moderna e come questa, nel ruolo di legittima erede, abbia conservato lo spirito della forma, ripresentatasi sempre viva e attuale sotto altre sembianze.

I segni, i colori, le campiture, le geometrie che intessono un’opera d’arte contemporanea vengono rilette dal Metaformismo al fine di poter individuare le forme attraverso cui palpita il messaggio dell’artista.

Il termine Metaformismo raccoglie in un un’unica espressione storica la varietà dei linguaggi artistici che tendono, tutti insieme, a uniformarsi in un’unica visione universale fondata sulle capacità intuitive, il cui sviluppo è previsto nel futuro come fattore imprescindibile del pensiero umano.

Giulia Sillato

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